venerdì, maggio 11, 2012

Disegnare un certo Dylan

Mi trovavo in pulmann di ritorno da Assisi. Maggio 1989. La sera prima, nel buio della nostra stanza d'albergo, Fabrizio rompendo il silenzio dal suo letto proferì queste parole: "Eccoci qua: un giorno in meno da vivere e quelli che restano, davanti".
Nel pulmann Andrea, l'amico seduto accanto a me non mi parlava, ma nascondeva dentro di se',  nel suo inconsapevole corpo di bimbo, il virus letale della varicella. Oltre ad essere in potenza varicella, egli era in atto un lettore di un fumetto, un fumetto inculato al fratello grande:  lo stava divorando con gli occhi ricurvo sul suo sedile. Era ricurvo, introflesso come solo chi legge qualcosa che sa di non avere il permesso di leggere, è.
A me Assisi era piaciuta un botto e ancora guardavo dal finestrino quegli stralci di colline morbide che per la prima volta nella mia giovane vita avevo visto. Forse pensavo a San Francesco, agli uccelli e ai lupi; forse pensavo alla Porziuncola, perchè ancora non avevo capito che ci faceva una chiesetta piccola dentro una chiesa grande; in quel periodo andava così, le cose religiose mi interessavano ancora.
Ad Andrea no: a lui piaceva solo quel fumetto.
La prof, sbucando all'improvviso gli intimò di sedersi davanti, forse perchè aveva combinato qualche cazzata in albergo e dovevano parlarne. Lui mi nascose il libretto dietro la schiena mentre veniva trascinato via.
Estrassi da dietro la schiena il fumetto, era questo qua:



Lo lessi, io che all'epoca al massimo leggevo Asterix e le strisce di B.C. o di Wizard of Id. Mi ero spinto anche oltre: una volta avevo osato leggere Valerian di Mezières, senza capirci una mazza.
Qua, nel fumetto del pulmann,  non c'erano personaggi buffi, che dicevano cose buffe, o tizi che sparivano all'improvviso in un baluginio spaziale, ma una famiglia di gemelli pazzi che morivano tutti male, e questo tizio con la giacca nera che risolveva il mistero del vedovo nero, senza impazzire per tutti gli orrori a cui assisteva, che erano parecchi. Ricordo questo sangue nero a fiumi, dapertutto.
Chiusi il fumetto che eravamo arrivati a  Vicenza. Senza rendermene conto, quel fumetto mi aveva portato via con se'. Fuori non c'erano le colline umbre ma i colli Berici e la mi scuola, alloggiata in una ex-questura.

Andrea e praticamente il 90% dei ragazzini presenti nel pulmann, nelle settimane seguenti si coprirono di pustole, ed io che ero seduto proprio accanto all'untore, misteriosamente rimasi sano. Forse perchè grazie a quel fumetto, ero diventato improvvisamente esistenzialista, e come si sa, gli esistenzialisti non si ammalano mai. Ora che ci penso, nemmeno Fabrizio si ammalò

Dopo questa cosa arrivò Piero Dell'Agnol, con "Goblin" 1990 e lì ormai, ero definitivamente fregato. Alle fregole che provavo per le storie, si aggiunse il fatto cioè, che ogni tanto c'era questo tizio che faceva dei disegni bellissimi, da cui non riuscivo a staccare gli occhi per ore. Dei disegni che provavo a rifare, senza mai riuscirci. Mi piaceva un sacco pure quell'altro, Roi, che metteva delle strane atmosfere nebbiose nelle pagine, e faceva questo bel viso affilato di Dylan, che copiavo, anche in questo caso senza riuscirci.

Oggi, nel mio piccolo, mi si chiede di disegnarlo sul serio 'sto tizio che da piccolo provavo a copiare senza mai riuscirci. Mi si pone davanti la fonte principale di qualunque mia ispirazione disegnativa pre-adolescenziale e mi si dice "fallo anche tu. A colori"
Come se fosse semplice.
Dailan Dog, come si diceva all'epoca in cui l'ho scoperto, aveva messo dentro il mio cervello l'amore sviscerato nei confronti di una strana forma di bellezza. La bellezza che nasceva dall'orrore, dalla paura e dall'angoscia; posti dove normalmente credevo non si potesse trovare.
Ma di bellezza si trattava, e mi attraeva più di ogni altra cosa piacevole a cui ero abituato.
In quel dolore, in quella paura e in quelle aberrazioni, vedevo me stesso e non capivo perchè.
Dylan, aveva una certa capacità di tenere sempre ben tesa la sospensione dell'incredulità dinanzi a tutto questo, era indifferente, distaccato e coinvolto allo stesso tempo, amava e odiava come una persona normale, e forse era questo che faceva entrare in quelle storie, senza considerarle solamente un fumetto dell'orrore, andava oltre quel genere. Ti fidavi e ti facevi accompagnare volentieri. Bellezza.

Con questo bagaglio bello peso mi appresto a fare i primi schizzi. Cerco di non pensare a Dell'Agnol, cerco di non pensare alla Porziuncola e vado.


Bah. E poi come la mettiamo con lo stile  di racconto che hanno i disegnatori Bonelli? Io non ho la loro testa, la loro capacità di tagliare gli scorci della realtà e tradurli in fotogrammi ben oliati, pronti per occhi allenati a dialogare con quelle sequenze così precise, così specifiche...
Dell'Agnol dicono stia in montagna tutto solo perchè è impazzito dopo aver lavorato con Berardi, non è possibile rintracciarlo per chiedergli come ha fatto lui a essere così specifico. Non ha il telefono dicono, non gli posso parlare, ma forse tutto fa parte della leggenda in cui si è trasformato. Forse anche lui ha avuto la varicella ad Assisi, e nel mio sogno questo ci accomuna, e ci potrebbe far dialogare.
Ma non mi basta per uscire dal mio loop.
La verità è che c'è questa profonda forma di deferenza da parte mia nei confronti di tutto questo, e quello che ha significato per me. Dylan mi ha educato a distinguere un certo tipo di storie rispetto alle altre, mi ha educato a scegliere il lato oscuro delle cose e a preferirlo. Non ho mai smesso cioè di cercare di riprodurre quella strana forma di bellezza nelle cose che provavo a fare, grazie a lui.
Il fatto è questo: visto che non riuscirò mai a rendere giustizia a tutti quegli anni passati a leggere e rileggere gli albi del nostro, che non riuscirò a far trasfigurare tutte quelle emozioni in qualcosa di formalmente perfetto, come meriterebbe, cerco di compiere un processo inverso, riazzero tutto.
Il Dylan Dog che disegnerò nel color fest dovrà essere il "mio" zero e guai a me se non è così.


Il senso di quello zero ve lo spiego nel momento in cui lo raggiungo, se mi riesce.