mercoledì, dicembre 25, 2013

fase 04: Accorgersi che Natale è il momento migliore per alludere.

Ricordo che undici anni fa a Natale,  scrissi una lunga lettera, dove spiegavo, non senza una certa foga giovanile, che per la prima volta, non mi sentivo di fare bilanci di cose positive o negative accadute durante l'anno che era appena trascorso, perché nonostante tutto, quello che mi era successo oltre che necessario, era bellissimo, anche se chi aveva testimoniato il mio percorso fino ad allora, sarebbe sicuramente stato pronto a giurare il contrario. Scrissi che non desideravo nulla perché tutto ciò che c'era, comunque mi apparteneva ed era "mio" più che mai. 
Questa lettera era indirizzata ad una persona che conoscevo da poco. Mi stupii del fatto di aver scritto una cosa simile a qualcuno, pur non essendo un disseminatore di buon umore cattolico o in ogni caso totalmente ubriaco. 
Qualcosa era cambiato, e la voglia di condividere questi pensieri con lei, mi diede la conferma di trovarmi in uno stato di grazia particolare, dovuto all'averla incontrata e all'aver cominciato a vedere il mondo,  per la prima volta.
Fu in effetti una lettera importante, dove coloro che scrissero e che lessero, presero (forse inconsapevolmente) la decisione di fare subito dopo,  un po' di vita insieme. Si apriva un varco, con  una strada facile da percorrere, dopo anni di labirinti stronzi e incomprensibili.

Undici anni dopo è ancora tempo di bilanci. Facebook raccoglie la spazzatura emotiva di chiunque, e le lettere probabilmente, le scrivono solo i notai e i calligrafi. A pensarci bene, a volte le scrivono anche i medici.
Quello che è cambiato rispetto ad allora, è che non c'è più un confine netto tra ciò che si "desidera" e ciò che "si ha il dovere" di fare. E' cambiato anche l'aspetto  della strada facile, che è sempre da privilegiare rispetto a tutte le altre, ma che a vederla bene è sempre stata il "nostro" personalissimo labirinto con cui radicalizzarsi o illanguidirsi, a seconda delle necessità. 
E' cambiato il modo di pensare e leggere ciò che poi scrivo, me ne accorgo anche e soprattutto riguardando le prime righe di questo pezzo. Non vedo più la necessità di girare attorno a qualcosa utilizzando delle metafore per non parlare della cosa stessa: mi infastidisce continuare a usarle, per poi chiuderlo questo pezzo. 
Nonostante questo, non cambia la mia volontà di stare dove sono, convinto molto più di quando ho cominciato, di aver preso la strada giusta. 
E se all'inizio avevo paura, ma mi faceva piacere pensare il contrario, adesso che conosco una paura più grande, vedendo che non ho alcun potere per comprenderla e dominarla, mi illudo che con un avversario così forte, ci puoi anche convivere, sentendoti tutto sommato più vivo di quando si era estranei. Una paura che terrà legati stretti, coloro che scrissero e lessero undici anni fa.

Non so se e in che modalità, proseguirò con le frequentazioni "social" ora che ho così tanto tempo da impiegare bene. Non vedo il motivo di continuare a suggerire a tutti di seguire quello che faccio, o di cercare di sembrare acuto o intelligente, visto che probabilmente quello che faccio, dovrebbe in un certo senso bastare a rappresentarmi. Che non ho il potere di cambiare l'opinione di chi ha già deciso che sono uno spocchioso o un incapace, come di chi pensa il contrario. In realtà, non vorrei che ciò che sembrano essere delle scuse per un'eventuale assenza, diventino esattamente questo.
Per ciò a chi legge, chiedo di dimenticare questo messaggio, allo stesso modo in cui si fa con una qualsiasi delle cazzate tremende che bofonchia un amico intrippato a fine serata.
Che magari poi, quella cazzata ti torna in mente qualche anno dopo, quando è il momento giusto per riderci sopra.


Alla tua salute, vita. Vediamo che altro hai da dirci.

giovedì, novembre 07, 2013

The day i tried to live


I woke the same as any other day you know why 
I should have stayed in bed 

giovedì, settembre 26, 2013

martedì, settembre 24, 2013

domenica, settembre 22, 2013

fase 03: Sbagliare nel modo giusto.


E' arrivato il momento di disegnare. Si tratta di  una storia intera di novantaquattro pagine. Sono davvero parecchie.
La cosa mi terrorizza, ma come sempre comincio a farlo, per illudermi che sarò anche questa volta in grado di affrontare questa paura, ormai così familiare.
In realtà la fase più significativa della preparazione delle tavole, è quella degli schizzi che fai in cinque minuti, dove di solito si trova già tutto il senso di quello che poi verrà stampato alla fine, sul libro. Con l'unica differenza che alla fine sarà più comprensibile e gradevole agli occhi del lettore (cosa che forse non sarà questa lunga riflessione sul "disegno" che sto per fare...).

Gli schizzi in questa fase sono di solito pieni di segni, che nella fase successiva andrebbero scartati: nel "clean-up" della pagina, sia esso costituito dall'inchiostrazione o dal passaggio alla matita pulita o altro. Nel passaggio alla fase della riproducibilità, per intenderci.
Per quanto mi riguarda, tutti quei segni sbagliati, sono sempre stati i più interessanti, per me. Non lo so il motivo, ma forse perchè non li riconosco in quanto miei.
Credo che il mio modo di lavorare sia divenuto almeno per me" riconoscibile", quando ho confessato a me stesso che gran parte di ciò che mi riusciva meglio, partiva da singoli segni o da interi disegni per così dire"sbagliati".
Messa così, sembra complicata, me ne rendo conto.


Se c'è una cosa che nessuno ti insegna nelle scuole d'arte italiane, è che a volte è molto più utile studiare i propri errori che tenere conto dei propri successi. Tutta la parte delle tua vita in cui ti devi solo occupare di immagazzinare informazioni, e sperare che poi fermentino per bene per restituirti un idea di senso, un diagramma compiuto del modo in cui devi utilizzarle è forse la più interessante della tua esistenza di essere umano, intenzionato poi a consacrarsi "creativo". E' in quella fase che hai la possibilità di sapere chi sei.
Normalmente ti si dice di seguire delle regole. Tutti sono in grado di uniformarsi a delle regole utili per ottenere uno scopo, per essere riconoscibili dal contesto in cui si inseriscono.  Un tot persone possono essere istruite a comportarsi nello stesso modo, nel caso di un disegnatore, a disegnare nello stesso modo.
Ma quello che porta a farsi distinguere dalla strada precostituita è l'errore, la caduta; e più sarà rovinosa questa caduta, più sarà facile allontanarsi dal sentiero già battuto.
L'errore, è quello che ti consente di essere inconfondibile, perché ognuno di noi, di solito sbaglia in modo diverso dagli altri.

In ogni caso, tentiamo almeno stavolta di non sfociare nella filosofia spicciola.
Sei in una delle aule della tua scuola d'arte italiana, durante i tuoi inizi.
Ti dicono di copiare per l'ennesima volta, una delle riproduzioni in gesso dei "Prigioni" di Michelangelo.
Di solito c'è chi passa tutto il proprio tempo in questo sacro edificio a tentare di capire perché il tratteggio incrociato ha un effetto diverso dallo sfumato a toni sovrapposti.
C'è chi si chiede invece se Michelangelo, fosse veramente omosessuale.
C'è chi auspica che il supporto cartaceo sia quello che farà la differenza.
C'è chi è già ubriaco alle nove e mezza di mattina perché al bar ha dovuto corrompere un professore a suon di bianco frizzante per farsi passare un dispensa essenziale, ma introvabile.
C'è chi si interroga sul fatto che il disegno in bianco e nero possa essere sufficiente anche senza il colore o viceversa.
E' molto probabile, che nessuno tra loro sbaglierà nel modo giusto.
Perchè?

Perchè il contesto in cui si trovano ad operare, non ha la struttura simbolica adeguata a legittimare questo errore. Il sistema che sorregge un luogo dove ipoteticamente è necessario insegnare a diventare degli artisti o (umilmente) a diventare  "operatori" dell'arte, non si può autolegittimare per principio, e se lo facesse contraddirebbe se' stesso.
Probabilmente nel futuro cambierà, arriverà un qualcosa, un progetto innovativo, una visione originale portata avanti da un singolo o da un gruppo di illuminati. Una consapevolezza tale per cui tutto il sistema di nozioni intangibili, sfuggenti, anacronistiche e allo stesso tempo avveniristiche, su cui si sorregge il sistema dell'insegnamento, nelle scuole d'arte, verrano riorganizzate, in modo da fornire a chi vi accede un profilo di utilizzo comprensibile.
Per il momento, non si offre affatto "formazione".
Tutto ciò che viene offerto, salvo casi rari, è più "un'esperienza": una sorta di passeggiata all'interno del sistema, con la sensazione costante, che di tutto ciò che ti viene mostrato, si faccia il possibile per nascondertene il senso.


Io non voglio recriminare, ma ho passato un anno intero a seguire un corso di Storia dell'arte contemporanea in cui il docente (un luminare a detta di molti) ha trascorso tutte le sue venticinque lezioni circa a dire che " ... se esiste qualcosa che si può dire dell'arte, è la sua impossibilità di essere detta".
Senza una foto, senza una dispensa: nulla. Venticinque ore di lezione, così.
Alcuni, si iscrissero appositamente a questo corso dalle altre sezioni, da scultura, da decorazione, avendo sentito dire che durante le lezioni degli anni precedenti, non era raro che il pubblico sfociasse in applausi clamorosi e commossi. Io quell'anno, non ricordo nè applausi, nè clamore.
Ma senza entrare nell'aneddotica, basti sapere che questo genere di situazioni costituiva la regola, più che l'eccezione.
Tutto dovuto a cosa? Ad un fraintendimento di fondo, secondo il quale, a tutti dovrebbe essere permesso l'accesso a questi contenuti, ma nel momento in cui ci sei, i contenuti stessi ti vengono presentati come impossibili da raggiungere attraverso quel genere di tipologia apprendimento. Non sto scherzando. Ti dicono veramente questo.
E accade soprattutto quando ti appresti a creare qualcosa di tuo, cioè hai già superato la fase di apprendimento tecnico, nell'ipotesi che tu abbia avuta la fortuna di farla come si deve.
Ti infilano in un labirinto, dove essi stessi,  lavorano incessantemente sollevando nuove, altissime pareti, scavando passaggi segreti, immaginando nuove coordinate ed architetture dicendoti: "sicuramente non avrai modo di sapere dov'è l'uscita, perchè nemmeno noi sappiamo dov'è. Però se userai bene il tuo talento, nessuno ti impedirà di cercarla. Forse per raggiungerla devi tirar su un bel tramezzo di forati laggiù, oppure aiutare il tuo collega a demolire quella scala a chiocciola..."
E ai problemi, per così dire "contenutistici", si aggiungono quelli strutturali, dovuti al modo di gestire scuola e cultura da parte di chi sta al potere nel nostro Paese, che in nessun caso sono da sottovalutare.



Io non ho niente contro le scuole di fumetto, anche e soprattutto perchè non ne so praticamente nulla.
Io faccio una riflessione sulle scuole d'arte, perchè c'ho passato dieci anni della mia vita, inside.

Il novanta per cento delle persone che frequentano questi istituti (me compreso) quando escono con il diploma in mano fresco di stampa dalla segreteria dell'edificio, hanno tutti la stessa espressione spaesata, del tipo: "...e 'sti gran cazzi? Che ci faccio ora?".
Questo perché la maggioranza delle volte durante i quattro/cinque anni in cui si sta lì, si è lasciati soli, pretendendo che lo spirito dell'arte, si impossessi degli allievi allo stesso modo in cui può farlo un virus spontaneo, svaporato dai gessi e dai cavalletti, una volta collocati all'interno di queste strutture.
Gatto, un mio grande amico, forse l'unico che aveva capito come funzionavano le cose, appena dopo la discussione del diploma, salì sul ponte che sta davanti all'accademia e buttò la tesi, dritta nel canale.


Io penso che la vita sia breve, e che una delle cose più importanti per operare con intelligenza o buon senso durante il nostro percorso su questa terra, sia sapere chi siamo.
In questi luoghi, dal mio punto di vista, è veramente difficile scoprirlo.

Lo dico: secondo me per insegnare un mestiere in questo ambito, è necessario partire dall'esempio degli Jedi di Star Wars, ovvero che un insegnante, può avere solo un allievo alla volta: un Padawan (anche se questa parola mi ha fatto sempre pensare al "Padovano", lo "spritz forte" che fanno i bar per gli universitari Patavini).
Per tornare ad un concetto reazionario, secondo me è possibile apprendere un qualcosa in questo ambito, solamente andando a "Bottega".
 E' l'unico modo per crescere, per non avere sempre quella sgradevole sensazione di: " qui da noi, puoi imparare tutto, ma occhio che puoi anche non imparare nulla. Fai tu....".

Io non ho mai avuto questa fortuna, ma sono riuscito a crearmi dei surrogati di questa esperienza.
Io ho imparato qualcosa laddove ho avuto la possibilità di avere un contatto diretto e reale con chi insegnava. (Evitiamo le battute o i racconti, su chi di contatti coi docenti ne ha avuti, ma di genere orale o pubico; cosa non del tutto rara nemmeno questa. Non ci interessa, io volevo parlare di un altra cosa).

Qui forse (finalmente) si ritorna al motivo per il quale ho cominciato a scrivere questo post, ovvero l'errore.
Dicevo, il contatto con il docente è necessario  perchè è in quel contesto che si è legittimati a sbagliare nel modo giusto. Quando si vuole imparare l'arte, se proprio lo si vuole fare, è necessaria una certa dose di empatia con chi ti insegna. Un qualcosa che si crea quando, la riuscita di quello che fai dipende anche dalla riuscita del rapporto. O dal totale disfacimento del rapporto, ma di rapporto si deve trattare.
Un rapporto di tipo esclusivo non è da intendersi come una classe, uno studio vuoto, dove ci sono solo l'insegnante con il suo allievo. Non dev'essere inteso come un qualcosa di elitario in senso stretto o di "antidemocratico".
E' una cosa che può avvenire normalmente anche in una classe dove vi siano altre persone. Quello che conta è il link, che permette al lavoro di entrambi di avere legittimità piena.


Io ho avuto dei grossi scontri coi docenti con cui, ancora senza saperlo, avevo questo tipo di rapporto esclusivo. Non ho mai amato più di tanto le nozioni per così dire "dogmatiche" del disegno (in realtà nessuno le ama, sono noiose). Tutta quella parte in cui devi solo ripercorrere il lavoro di altri e ripeterlo, di cui sopra.
Ho avuto la chance di conoscere qualcuno a cui questo mio svogliato "disinteresse", interessava.
Quel qualcuno, mi ha portato a farmi disgustare talmente tanto queste nozioni, che senza rendermene conto, provocò in me il desiderio di sbagliare apposta, pur di farla finita con quella agonia.
Questa è una cosa fondante per me, e l'ho capita solo in questo modo. Ma ci sono arrivato solo con un enorme quantità di lavoro (che rifiutavo e mi disgustava, ma che mi costringevo a fare) e con il sostegno latente di qualcuno che mi aveva preso a cuore.
Eravamo sempre lì, nella struttura, con quel sistema simbolico contraddittorio e ambiguo. Ma qualcosa dell'esclusività del lavoro che si portava avanti, aveva fatto sì che si creasse un isola, in cui tutto il vociare di vuoti paradigmi sussurrati, venisse meno, sostituito da una reale e conflittuale operatività.
Io stimavo il suo lavoro, cercavo di imitarlo,  e nella fatica e nella frustrazione rimanevo sempre affascinato da quel suo alone di magica irraggiungibilità (altra condizione fondamentale).


Nel momento per così dire finale del nostro percorso insieme, questa persona mi disse che quello che facevo non valeva nulla, che ero solo uno dei tanti che aveva visto negli anni di lavoro e da cui aveva provato di estrarre qualcosa di buono;  mi disse anche che lo avevo deluso, ma se ne sarebbe fatto una ragione. Questo perchè, ad un certo punto avevo mollato, non riuscendo più a capire cosa farmene di tutta quella frustrazione accumulata.
Andai a casa e sul treno mi dissi che probabilmente io ero questo: uno dei tanti imbrattatori di fogli che si credeva chissà chi. Che non era la prima volta che una cosa del genere mi veniva detta. Che probabilmente non cambiava nulla. Che l'idea che mi ero fatto di come si dovesse essere per diventare un professionista, o comunque uno che consacrava la sua vita a quel genere di cose, non corrispondeva alla realtà: che mi ero fatto un film.
Al di là di tutto , ero affranto all'idea di aver deluso una persona che si era fidata di me. Soprattutto perchè era una cosa rara, e io l'avevo dissipata. Questo era il fallimento più grande.
Quando scesi dal treno, mi accorsi che mentre ero preso da queste considerazioni escatologiche, avevo quasi riempito un quaderno intero, di disegni. Disegni strani, che non avevo mai fatto.
Non andai più a lezione nelle settimane successive e quel quaderno stava sempre nella borsa, senza che avessi la voglia di riaprirlo, perché sapevo che vedere quegli schizzi mi avrebbe fatto pensare immediatamente alla tragedia umana in cui mi ero trasformato.
La fine del corso e con esso l'obbligo di consegnare qualcosa di concreto per l'esame finale si avvicinava, ed io stavo lì, a rigirarmi in tutto quell'amore per il disegno, andato sprecato.
Però lo feci, li riguardai.
Erano sbagliati.
C'era un atteggiamento pretenzioso, velleitario in quei disegni.
Cercavo di strutturare delle figure umane, mescolando a caso delle linee di costruzione, e utilizzando gli errori di calcolo per simulare una struttura. Queste figure si muovevano senza scopo, ammassate l'una nell'altra in ambienti neutrali, in spazi costruiti anche in quel caso con delle tecniche che ricordavo di aver visto da qualche parte, ma di cui non conoscevo il senso. Anche in questo caso, imitazioni di destrutturazioni spaziali viste chissà dove.


Era tutto sbagliato. Ne feci altri per trovare il modo di vergognarmene di meno. Alla fine ne feci credo un centinaio, di cui non ero mai soddisfatto. Ma dopo quei cento disegni, mi resi conto che non provavo più fatica o frustrazione nel momento in cui dovessi disegnare qualcosa. Quelle sensazioni erano scomparse. Riuscivo a disegnare senza provare il senso di fatica che avevo sempre provato, almeno da quando ero obbligato a farlo, per studio.
Mostrai questa roba al docente, che senza dire nulla, a parte "mi chiedevo dove fossi finito", prese quel malloppo e lo mise paro-paro nella cartella della mostra scolastica di fine anno. Lo stesso malloppo che poi sarebbe rimasto, assieme ad altri degli anni precedenti, negli archivi del corso , come esempio per gli allievi degli anni successivi. Era contento, ma non lo dava a vedere. E' andata così, positiva o negativa che fosse questa cosa.
Paradossalmente, se si volesse essere pedanti, si potrebbe dire che ho cercato anch'io una "regola", per quanto possa essere convinto di partire dalla negazione delle regole.
Che l'errore in cui sono caduto, nella relazione con un mentore, o nella fortuna di trovare una soluzione, un sentiero, laddove ragionevolmente, ci si sarebbe solo dovuti smarrire, sia stato pianificato e si è potuto verificare, solo perchè stavo in quel posto, in quella scuola, tanto bestemmiata.
Che non avevo un rapporto esclusivo con quel docente, o con gli altri maestri con cui ho avuto esperienze simili, ma che semplicemente quella persona era uno che faceva bene il suo lavoro e mi ha illuso di avermi preso sotto la sua ala, per ottenere il suo risultato.
Quello di cui sono certo è che il suo era il modo giusto per portare un cinno senza arte ne' parte a prendere consapevolezza dei suoi strumenti. Senza giri di parole sull'indicibilità dell'arte, o sull'impossibilità di conoscere quello che si fa. Sull'impossibilità di conoscere se' stessi.
Quelle sono solo cazzate.

In ogni caso, ripercorrere tutto questo mi aiuta a cominciare, ad avere meno paura, lo faccio ogni volta.
Non ho più smesso di disegnare in questo modo da allora, o almeno di "strutturare" il mio modo di disegnare così all'inizio di un lavoro, per poi arrivare a quello che consegno all'editore.
Parto dall'assunto, che se sbaglio, probabilmente sto facendo bene.






domenica, settembre 15, 2013

martedì, agosto 27, 2013

Originali in vendita

Dunque. Ho deciso di vendere alcuni dei miei disegni.
per chiunque di voi fosse interessato, quelli attualmente disponibili si possono vedere su questa apposita pagina Facebook: https://www.facebook.com/paolo.martinello.art.
Contattatemi tramite messaggio privato, o inviatemi un e-mail se siete interessati a conoscere i dettagli.

domenica, luglio 28, 2013

E' tutto a posto. Tutto normale.

Non mi disgusto facilmente. Nonostante questo non riesco a togliermi dalla testa i continui attacchi che sta subendo il Ministro Kienge. Non ce la faccio proprio.
Penso due cose , vedendo ciò che accade: la prima è che in un certo senso mettere un ministro di origini africane nel nostro parlamento, sia stato un colpo di genio, perché allo stesso modo dell'aver messo una trappola per topi con un bel pezzo di formaggio, tutti i ratti che infestavano il nostro appartamento stanno uscendo allo scoperto, ufficialmente.
La seconda è il rendermi conto che la cosa non mi da sollievo. L'avere la conferma definitiva che il nostro è un popolo infestato da idioti, profondamente immaturo, con valori culturali e di comportamento tardo Medioevali, non mi fa sentire bene. E non parlo solamente delle questioni legate al razzismo.
Io provengo da una regione in cui certi valori legati alla territorialità sono piuttosto radicati, per usare un eufemismo. Le vicende legate al Ministro, mi toccano parecchio per il semplice motivo che conosco bene la genesi di un razzista, so come si fa a diventarlo. La cosa agghiacciante è scoprire che poi queste persone non si sentono assolutamente razziste, ma credono solo di agire secondo buon senso, o per attaccamento a tradizioni familiari. Quando basterebbe aprire un giornale, leggere un libro, informarsi per vedere che la realtà non è quella che senti bisbigliare dai compagni di scuola, dai colleghi di lavoro, o dalle "signore" che incontri in chiesa, ma nessuno lo fa. E' tutto incredibilmente semplice, innocuo (consueto, per così dire) e per questo pericolosissimo.
Io penso o voglio credere, che dopo qualsiasi medio evo, arrivi anche un Rinascimento.
Tuttavia non so in che modo gli artisti o chiunque altro faccia cultura in questo paese, possano produrre ancora sensibilizzazione reale verso certe questioni o se non altro suggerire le modalità secondo le quali un paese possa crescere, possa appropriarsi dell'idea che la cultura, l'apertura verso l'esterno sono le sole cose che diano forza e identità ad una nazione.
In linea di massima, credo che la maggior parte delle persone che fanno cultura in Italia, siano vili o opportuniste e credo che sia per questo che molto di ciò che succede in questo ambito non pigli piede. Sono così non perché l'ambiente richieda questo, ma perché dopo generazioni di indifferenza da parte di chiunque, chi riesce ad ottenere qualcosa e avere voce, non rischia mai, per non perdere le posizioni ottenute con tanta fatica, o peggio per non raggiungerle mai.
Tra i vili, mi ci metto anch'io, ci mancherebbe. Credo anche che non serva molto coraggio per dire che i fascisti e i razzisti sono delle merde. In fin dei conti faccio parte della generazione che è venuta su pensando che Mtv fosse cultura.
Credo invece serva coraggio per fare qualcosa di significativo che porti questa gente, a cambiare idea. Servono fatica e lavoro per dimostrare "l'ovvio" è sempre stato così.

giovedì, luglio 18, 2013

fase due: pensare e forse disegnare

La lettura del faldone rilegato è compiuta, il pacchetto di patatine svuotato, la stanza è colma di intensità come forse avrebbe voluto Gino Paoli.
Ho preso due appunti due su delle idee per visualizzare una scena, che forse eluderò perché non mi convincono niente. Questo è un buon segno perché significa che la storia mi è piaciuta.

Cosa succede adesso?
Da dove sgorga quel flusso-di-incontaminate-emozioni-che-guidano-la-mano-dell'artista-sul-foglio-pronto-a-raccogliere-nitide-le-tracce-di-eternità-che-in-quel-loco-vorrà-imprimervi-tramite-inchiostro?
Da ggiovine tutte le volte che osservavo i professionisti navigati disegnare una storia pensavo questo, chiaramente in termini diversi. Mi chiedevo : "come cazzo fanno?"

Nelle osservazioni, nei dialoghi con queste persone, con questi "maestri", forse cercavo di alimentare la mia naturale pigrizia nel non voler trovare soluzioni, ma sempre e solo rimediare scorciatoie: la strada in salita, diciamolo, ha sempre fatto schifo a tutti. "Spiegami un trucco: dimmi come si fa a fare in dieci minuti un ponte in prospettiva. Dimmi se esiste un modo per disegnare un corpo umano anatomicamente coerente già da domani mattina."
Ma se nei maestri qualcosa ci arriva ad essere utile, é il loro non rispondere mai alle nostre domande.
E allora come ci si prepara? Come si affronta il disegno di una storia a fumetti? Da dove si comincia?
Facciamo delle ipotesi: mettiamo si  tratti di un flusso di coscienza ammaestrato, di una danza di scimmie in una stanza priva di gravità, o come mi aveva detto qualcuno (di importante per me), un dialogo con se' stessi nella galleria del vento. Componenti meccaniche che addestrano il caso, la fortuna, il talento, e altri elementi intangibili.

La tecnica, l'ispirazione, la preparazione atletica, la disposizione filosofica, l'essere pronti al sacrificio, l'essere vuoti e colmi allo stesso tempo, amare, odiare, aver visto cinquantamila film, aver ascoltato duecentomila dischi, aver visto mostre inutili in posti remoti (Anthony Caro, "Il Giudizio Finale", su uno degli isolotti satellite di Venezia), rendersi conto che nulla è inutile, e allora cercare cose ancora più inutili, ancora più remote, ostinatamente di parte nel non voler essere di parte. E ancora leggere Roland Barthes, leggere i porno e la Settimana Enigmistica, leggere Toppi. Vedere una strada possibile in Toppi e scoprire che è un vicolo cieco, sfogliare le riviste di psicologia dell'arte, trovare altri vicoli ciechi.
Fare musica, fare sesso, fare la spesa, fare commissioni inutili, fare ginnastica, fare continui atti di fede senza che nessuno se ne accorga, mentre lo fai. Fare.
Nascondersi per vedere se poi è vero che  si è più attraenti da trovare.
Conoscere la morte di una persona cara, accettarne il peso di una seconda di lì a poco. Vedere un coperchio appena sopra il cielo come diceva quell'idiota di Baudelaire, accettare quella visione. Rifiutare quella visione e ripartire come se si avesse risolto.
Convincersi che la realtà non è altro che uno specchio, che uno specchio non è che la finestra di casa da cui si scruta fuori, osservare il paesaggio e scoprire  che qualsiasi paesaggio è un volto.
Riconoscersi in quel volto anche se non è il proprio, amare quel volto.
E ancora perdersi, inutilmente ritrovarsi, e attorno a se' scoprire ancora una volta il mondo, così difficile da prendere, così impossibile da trattenere.
Se esiste un modo per dare una senso coerente a tutto quell'insieme informe di cui sopra e conseguentemente vedere chiaro su ciò che si deve fare, io non lo troverò mai, mi dico sempre.
Fare pulizia, cercare ordine non serve a nulla se non si ha nulla di significativo da organizzare. Studiare, informarsi, accumulare e immagazzinare non serve a nulla se non si hanno capacità organizzative che portino alla visione di un progetto, se non si ha discernimento.

Ordine e discernimento sono parole che non hanno mai fatto parte del mio vocabolario. Nonostante questo, il mio coglionissimo spaesamento di sempre mi serve per partire a disegnare. Lo sperare che ancora una volta io non venga tradito o ingannato da me stesso, dalla mia vanità soprattutto, è un ulteriore sprone.  La paura c'è e anche quella va bene che ci sia, ma non deve prendere troppo spazio, altrimenti si rischia di sfociare nella vanità di cui sopra.

Ok, gli strumenti sono pronti, e non sto parlando di matite, inchiostri vari e altre cazzate simili.





lunedì, luglio 08, 2013

fase uno: Stampa della sceneggiatura


Forse terrò un diario, forse no. In ogni caso, ora avrei una buona ragione per farlo: da qualche tempo sono un disegnatore della Bonelli. Almeno finchè non si accorgono di aver fatto una cazzata e mi sbattono fuori, dicendo che mi avevano scambiato per un altro. Devo fare uno dei loro fumetti. Se il vento tira dalla parte giusta, ne scriverò.

Quando mi arrivò il file della sceneggiatura ho subito voluto avere il faldone rilegato con una di quelle merdosissime dorsette ad anelli che usano per le dispense all'università, che pure quando facevo l'università ho sempre odiato a morte, perché mi facevano subito pensare a tutte le ore che ci avrei sprecato sopra invece di fare qualcosa di più utile, tipo drogarmi o fare volantinaggio per un "pizza Drin".

A pensarci bene, quando facevo l'università (L'Accademia o quello che è) ho fatto proprio le consegne in motorino per un "Pizza Drin". Me ne andavo su e giù qualunque fossero le condizioni atmosferiche globali, portando delle pessime pizze da forno elettrico a dei pessimi vicentini che se le mangiavano di gusto: mille lire a pizza consegnata. Ci pagavo giusto la miscela. Poi ho smesso, la sera che mi rifiutai di uscire in motorino perché Eolo, Zeus e Nettuno avevano deciso di scagliare tutta l'acqua dell'universo su di noi poveri mortali.
Feci le consegne con la Panda del pizzaiuolo capo, ma al ritorno vidi che il mio motorino, all'incrocio vicino alla pizzeria, era stato prestato ad un altro sfortunato consegnatore, che nella sua euforia giovanile aveva bene pensato di schiantarsi contro una Mercedes. 

Comunque. Per la dispensa della Bonelli, ho scelto la peggior copisteria del mio quartiere. Un luogo che non sfigurerebbe in quella trasmissione sugli accumulatori compulsivi, gestito da una signora incazzatissima e dalla figlia (di un'età indefinibile, tra i sedici e i quarantaquattro anni). Entro lì di norma per chiedere delle cose difficilissime e piccolissime da reperire, per sfidare quelle due a trovarle sotto le cataste di monnezza che loro sostengono essere un negozio di articoli di cancelleria. Aspetto che una nutria esca fuori da una scatola di evidenziatori, tipo giocattolo a molla. Che un avanzo di carbonara spunti dal cassetto delle spillatrici. 
Sono andato lì perché sostanzialmente me la voglio tirare. Mi sono detto "come minimo uno al mio posto, con la prima sceneggiatura importante per la Bonelli, se la va a far stampare in carta filigranata a Fabriano, come minimo. Se la fa rilegare in pelle di bufalo, si fa mettere una sopraccoperta di piume di fenicottero della Camargue. Io No! Cristo! Io vado nella copisteria di merda per ostentare un profilo basso!"
La figlia pazza della copisteraia, disincastrando un monitor a fosfori verdi dalla macchina per rilegare, mi dice " gliene metto una solida di molla, chissà quante volte  dovrà sfogliarla, la sceneggiatura….
Anche lei sapeva dunque che io sono uno lento. Non capirò mai come ha fatto a scoprirmi, ma lo sapeva. Probabilmente è una che segue i blog, una che sta su internet. Si sarà appuntata il titolo della storia e mi aspetterà al varco per vedere quanto ci metto a disegnarla tutta. Forse è addirittura una dei pezzi grossi del forum della serie. Forse ha già scritto da qualche parte che l'albo farà schifo al cazzo e che sono quindici anni che non legge più una storia decente su quella testata.
In ogni caso esco dalla copisteria, la porta si chiude maestosa con le due tipe che mi fissano immobili, risucchiate nell'oscurità.
Prima di andare a casa, acquisto delle patatine tipo Dixi, come supporto morale per la lettura.
Mi dico che la prima lettura è la più importante. Che i disegni che infili nella storia li hai già in testa alla prima lettura e quelli rimangono. Quello è l'imprinting, tipo che devi stare davanti all'uovo di drago per fare in modo che quando si schiude ti consideri la sua mamma per sempre e spappoli i tuoi nemici senza farsi troppe domande. Mi dico che spero di avere i disegni giusti nella testa. 
Forse devo prendere appunti mentre leggo.  Forse mi devo iscrivere in piscina perché ho 37 anni e conduco una vita sedentaria fumando e mangiando Dixi.

Comincio a leggere.

giovedì, maggio 02, 2013

intervista "gli audaci"

Gli amici del blog "Gli Audaci" mi hanno proposto questa intervista ed io la giro a chiunque avesse cinque minuti da perdere nel leggere le nostre chiacchiere.
Si parla di Dylan, Valter Buio, Mytico, pulsioni e passioni private e collettive. Dopo averlo letto, fatemi sapere se devo cambiare lavoro o meno.

eccovela:



http://gliaudaci.blogspot.it/2013/05/intervista-paolo-martinello.html

Un ringraziamento

Come spesso capita su Facebook, se non si ha nulla di significativo da dire, si preferisce scrivere che "non si sa cosa dire". Ed io mi trovo a non saper cosa dire di tutte le cose belle che questo "Color Fest", sembra stia portando con se'. Leggo che "Addio Groucho" è piaciuto a coloro a cui è capitato di leggerlo e (cosa che mi ha spiazzato) il più delle volte è anche riuscito ad emozionare. Spiazzato perchè questo significa che sono riuscito ad interpretare nel modo giusto la storia di Alessandro Bilotta, e a restituire le emozioni che la storia stessa ha trasmesso a me. Non so cosa dire dei volti dei ragazzi che sono venuti a chiedere l'illustrazione presso i DylanDogofili sabato scorso a Napoli: tutti bellissimi, tutti speciali. Non so cosa dire delle belle parole dei colleghi. Non so cosa significhi sentirsi parte, seppur nello spazio limitato di un cena di lavoro, di una grande realtà come quella della Bonelli.
Non so se sia capitato per caso, o se il caso è in qualche modo stato sollecitato da una mia precisa volontà di essere qui in questo momento. In ogni modo, finché dura, io mi prendo più che volentieri queste belle cose e ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile questo mio totale, spettacolare, spaesamento. Grazie davvero.




Trois souhaits tome 3: ci siamo quasi


"Che vuole ancora 'sto fricchettone?"
"Ricordarvi che il terzo libro di "3 Souhaits" esce in Francia il 29 Maggio, ragazzi"
"ed era proprio necessario affumicare tutto il palazzo, per dircelo?"

martedì, aprile 23, 2013

Color fest numero 10: Altroquando.

Oggi, sul nuovo Color Fest, esce "Addio Groucho", la storia scritta da Bilotta e disegnata da voi sapete chi. In tutte le edicole della vostra Penisola sfasciata preferita: lo riconoscerete dalla splendida cover dell'amico Davidone De Cubellis. Ci abbiamo messo cuore, polmoni, fegato e reni in questa storia.
Fateci sapere se vi è piaciuta, e per una volta, facciamole deflagrare queste cazzo di edicole!








giovedì, aprile 18, 2013

Napoli Comicon

La sortita del Color Fest con "Addio Groucho" , il prequel del "pianeta dei morti" disegnata da me e scritta da Alessandro si appropinqua. Per l'occasione l'Associazione DylanDogofili, mi ha chiesto di essere presente al Comicon di Napoli, con un illustrazione realizzata apposta per loro.
Se lo vorrete io sarò lì Sabato dalle 16 in poi, con tutta la mia simpatia. Vi ci aspetto.
Nell'attesa, vi spiego pure come ho fatto l'illustrazione. Té chì.




venerdì, febbraio 22, 2013

Lettera di un figlio dal futuro


Ho sognato  di ricevere una lettera magica da parte di mio figlio, pervenutami dal 2038.
diceva così:

"Caro Babbo
Finalmente siamo riusciti ad avere i documenti e qui stiamo bene, non ci manca nulla. Nadie ormai è all'ottavo mese  e siamo contenti, perchè la regione dove viviamo ci fornirà dade e infermiere per tutto il periodo che precede lo svezzamento, anche se noi pensiamo di potercela cavare da soli, che tanto abbiamo il Pediatrico qui a due passi.
Nadie avrà la maternità per tutto l'anno prossimo, e comunque quando tornerà al lavoro , potrà portare il bambino al nido della sua azienda, come fanno tutte le sue colleghe. 
Io ho il mio lavoro che sta cominciando a girare bene. Un sacco di gente è interessata a quello che faccio e gli ordini non mancano.
E'strano stare qui, lontano dall'Italia, e rendersi conto che questa è la vita che ho costruito, lontano da voi, in un paese che non è il mio.
Dopo tutti questi anni ho pensato di ringraziarti per tutto ciò che hai fatto per me e mio fratello: ormai siamo sistemati, e anche se non siamo vicini, abbiamo comunque un posto dove stare, una persona accanto e un lavoro, anche grazie a te e alla mamma.
Nonostante questo non riesco a ringraziarti per tutto ciò che non hai fatto e solo ora riesco a dirtelo; con una lettera perdipiù.
Quello che non hai fatto per il tuo paese, quando era il momento. 
Sarebbe stato giusto scendere in strada più spesso durante il periodo in cui quel tizio salì definitivamente al potere. Non dico per farsi delle passeggiate, ma giusto così, per tirare su un po' di gente, dei gruppetti e organizzare un atto di guerriglia contro lo Stato, contro di lui. Lo dico senza compiacimento, senza il gusto di voler dire per forza una cosa assurda.
Probabilmente avevi da fare, forse stavi su Internet a vedere quello che succedeva fuori, o probabilmente avevi una scadenza per uno dei tuoi libri.
Probabilmente allora avresti dovuto scrivere almeno qualcosa su Facebook, quando ancora ce l'avevate, per dire alla gente di non andare a votare ancora una volta per quell'uomo.
Ma la verità è che la civiltà viene costruita da chi desidera costruirla e non da chi subisce passivamente le decisioni di un padre irresponsabile. E voi forse non la desideravate veramente.
Avresti potuto scrivere che ancora una volta, il più grande pubblicitario mai esistito, aveva dato in usura una serie di pacchetti regalo agli italiani rassicurandoli sul fatto che non era lui quello di cui avere paura. E' sempre stato il migliore di tutti, in questo.
Ricordi quel film di Sorrentino, che mi hai fatto vedere una volta? "L'Amico di Famiglia" si chiamava. Non dimenticherò mai la scena in cui il cravattaro fa un prestito alla giovane coppia di sposi che dovevano organizzarsi il matrimonio, ma poi visto che i due non riuscivano a pagare il debito gli va in casa e si fa consegnare con la forza perfino il Bimby , quell'aggeggio costoso che avevamo anche noi per fare le pizze e le torte. Mi aveva fatto troppa impressione che gli fregasse il "Bimby". 
Il loro migliore amico si era trasformato nel peggiore dei nemici.
Avresti potuto dire che le regioni cosiddette " Traino" dell'Italia, le regioni del Nord, la Lombardia (dove è nato lui) e il Veneto (quello dove tu sei nato), dove la destra vinceva sempre, sono in realtà la vera culla delle peggio mafie: che a Brancaccio e a Secondigliano, si fa casino, si spara e ci sono i morti di fame, c'è "folklore", ma che al nord si fanno i meglio affari senza far troppo rumore, tutti belli puliti e profumati. Che la verità sullo stato delle cose era continuamente sovvertita, nascosta.
Avresti dovuto dichiarare che qualcuno stava deliberatamente sabotando il sistema scolastico dove i  figli sarebbero dovuti crescere, dove avrebbero dovuto trovare le idee per trasformare il loro paese.
Avresti dovuto augurare a tutti  quelli che lo avevano votato di avere un figlio disabile, per accorgersi solo all'ultimo momento, che nelle scuole non esistevano più i soldi per pagare gli insegnanti di sostegno e che quindi nessuno avrebbe potuto aiutarlo a crescere esattamente come tutti gli altri.
Avresti potuto impedire che la prostituzione diventasse un bene di consumo legale e sostenuto dallo stato, che diventasse la nuova moneta ufficiale per la corruzione. Che chiunque si potesse vendere come merce di scambio.
Avresti dovuto fare tante, forse troppe cose.
 Dopo aver perso il lavoro con la Francia, perché l'Italia era uscita dall''Europa e hanno chiuso le frontiere e  le transazioni legali con l'estero, avresti potuto fare fumetti di denuncia, scrivere e disegnare quello che era successo in Italia, e dire a tutti di non fare i nostri stessi errori, di riuscire con qualche idea a evitare il disastro. Forse questo era alla tua portata.
Ma mi rendo conto che queste cose non pagano, e hai preferito continuare a fare i tuoi super tizi che saltano, menano e sparano cazzate  per pagare gli studi a me e mio fratello, con gli editori italiani, anche se pagavano meno.
Ricordo quando mi raccontavi dei tuoi viaggi in Francia, alle Convention e di quanto ti facesse orrore durante le cene,  sentire i tuoi colleghi italiani parlare dell'ennesima buffonata del nostro presidente, con i falsi sorrisi e gli sguardi imbarazzati dei commensali francesi. Di quanto non riuscivi a non percepire un retrogusto di orgoglio nelle parole di chi raccontava le sua gesta, nonostante sembrasse voler dire il contrario. "Noi Italiani siamo fatti così, il nostro capo è un po' bizzarro: bisognerebbe farci un fumetto!". 
E tu che digrignavi i denti e che ti maledivi, senza riuscire a dire " Non è divertente, stronzi! Non è buffo, è solo tragico, insensato e bisognerebbe piangere, invece. Ma com'è difficile piangere davvero per gli Italiani. Com'è difficile disperarsi nel modo giusto, nel modo che poi ti fa odiare con tutte le tue forze ciò che ti ha fatto disperare!"
Tu, che deridevi tuo fratello, lo zio, quando ti raccontava che corrompeva i funzionari Ucraini col Parmigiano per ottenere il visto per sua moglie, cosa pensi adesso che sono io a dover portare le bottiglie di vino nei vostri uffici dell'immigrazione per avere prima le carte?
Dopo che la mamma, plurilaureata, pluri masterizzata, perse anche il lavoro come segretaria e si mise a fare lezione di pianoforte e solfeggio per riuscire a pagare le spese, forse avresti duvuto dire che c'era qualcosa di sbagliato negli italiani, se a tutti sembrava normale e giusto vivere così.

Ma le cose da fare che non si sono fatte sono sempre tante, e tu forse, non hai colpa. Ognuno ha il proprio ruolo il  proprio scopo e ora che sto per diventare anch'io papà, credo riuscirò a capirlo.
Mi devi perdonare lo sfogo, ma era da tanto tempo che volevo dirti queste cose.
Spero di riabbracciarti presto, che così magari ne parliamo di persona, se le mie parole ti hanno fatto arrabbiare.
ti bacio, saluta la mamma."

Buonanotte a tutti






giovedì, febbraio 07, 2013

Dalla Francia, con astio.






Quest'anno non sono andato ad Angouleme, per varie ragioni tra cui non meno importante, il fatto che non mi ci hanno invitato, perchè non ho libri usciti di recente. Da quello che vedo in rete però, ho come l'impressione che là stia succedendo un casino, nel mondo del fumetto intendo.
Sembra che il Velo di Maya, dietro cui si celava il benessere del settore Bande Dessinée, lo si stia un pochetto stracciando: gli autori sono scontenti, e la sovrapproduzione di cui parlavo in uno dei miei post sull'argomento dell'anno scorso (questo qua http://useless75.blogspot.it/2012/02/piccolo-ma-prolisso-post-riflessivo.html) sta creando dei problemi reali.

Cerco di non dare giudizi di sorta sulla situazione, che non conosco approfonditamente e nel dettaglio, ma credo sia utile dare una letta a ciò che scrive uno dei tanti autori di fumetti mangiarane, in risposta ad un uscita del Ministro della cultura francese Aurélie Fillippetti durante i giorni del Festival. Lo riporto qui sotto, con tutti i limiti della mia conoscienza del francese: spero mi perdonerete, ma credo di essere riuscito a restituire il senso del discorso.
C'è anche un documentario che è stato presentato al Festival suscitando un grosso dibattito, che si chiama "sous les bulles, l'autre visage du monde dela BD", che sono in attesa di riuscire a vedere, ma che sostanzialmente, parla dello stesso argomento.
In ogni caso,  sono molti gli autori francesi che si sono espressi sul merito, ma questo, nonostante i toni più o meno contestabili, è tra i più interessanti.


L'autrice si chiama Tanxxx e qui potete trovare il post originale http://tanxxx.free-h.fr/bloug/archives/6486


Cara Aurèlie
non me ne vorrete se vi chiamo per nome, dopotutto io sono un autrice di fumetti e nulla può essere preso troppo seriamente in questo campo.  Ho letto la tua intervista su actuaBD sulla tua visita al Festival di Angouleme. Non mi aspettavo molto per un sacco di motivi, ma in ogni caso, sono rimasta colpita e non posso evitare di reagire.
Non mi soffermerò sui luoghi comuni di cui parli a proposito del nostro settore ovvero I-fumetti-sono-divertenti-e-fanno-leggere-i-bimbi-ma-soprattutto-i-ragazzi- anche se la cosa è francamente allarmante detta da un ministro della cultura. Mi concentrerò tuttavia , sul vuoto terribile che concerne la situazione degli autori , mi riferisco alle risposte che hai dato :

(riporto una parte dell'intervista rilasciata sul sito ACTUABD (http://www.actuabd.com/Angouleme-2013-Aurelie-Filippetti), quella incriminata :)

Per un ministro  della cultura, il fumetto è importante nel nostro  panorama culturale?
E' molto importante perché i fumetti sono un'arte popolare e un modo per far legger i bambini. I bambini che leggono fumetti sono un importante pratica culturale. Il 90% dei bimbi tra gli 11 e i 14 anni ora dicono di aver letto un fumetto. Questo è grande, dobbiamo anche incoraggiarli e guidarli a scoprire la grande diversità nell'offerta dei fumetti, le differenti scuole, i diversi generi e portarli a formare il loro gusto. E 'un grande orgoglio per la Francia e il Belgio visto che fanno parte delle principali aree di creazione di fumetti nel mondo.

Vi è una grande produzione di fumetti, si parla addirittura di sovrapproduzione. Fra i professionisti BD: autori, editori, librai ... c'è qualcuno che vi è venuto a a parlare di una "crisi del fumetto"?
No, non abbiamo parlato di "crisi del fumetto". Rispetto al complesso dell'industria libraria, quello dei fumetti è ancora un settore che si regge bene, c'è ancora un leggero aumento rispetto allo scorso anno. E 'vero che ci sono molte opere, circa 5.500, ma io lo trovo molto positivo. L'essenziale è che la diversità del mercato editoriale sia conservata, che i talenti giovani e nuovi possano emergere e che ognuno trovi il suo posto. Pare che sia effettivamente così. E il passaggio al digitale è stata avviato anche nel mondo del fumetto,e  penso che questo sia un bene,oggi.
Quello che mi è stato detto,riguarda  piuttosto i problemi che devono affrontare tutti gli autori: i nuovi contratti che concernono i diritti nell'epoca del fumetto digitale, cosa di cui stiamo discutendo. Sono contento di aver conosciuto Vincent Montagne  oggi(Presidente dell'Unione Nazionale Edition, ma anche fumetti Média-Participations ). Spero che raggiungeremo un accordo.

Mi cadono le braccia. Cerchiamo di capirci: il solo settore che si mantiene bene all'interno del mondo della BD, è quello degli editori Mainstream, al prezzo di contratti scandalosi imposti ai loro autori. La, secondo te così meravigliosa, diversità del mondo dell'edizione dei fumetti, si sorregge perché la maggior parte degli autori indipendenti (ma degli autori in genere ) si accontentano di una miseria per vivere perché amano il loro mestiere, e perché non hanno scelta.
Quando vi dico miseria, dobbiamo capire che pochi raggiungono un salario minimo, e che lo standard è più sul lato di percepire il sostegno di disoccupazione: i più fortunati vivono con un coniuge che abbia uno stipendio.
La maggior parte dei miei amici e colleghi stanno in miseria, la vera miseria, tanto che io credo di dovermi ritenere fortunata a percepire 750 euro mensili.
Dobbiamo ricordarlo? Un autore non ha ne' stipendio fisso, ne' sciopero, paga una retta complementare obbligatoria per la pensione, paga un mutuo, non ha ferie pagate, e tutto questo è grazie ai suoi datori di lavoro o editori.
Tutto questo è estremamente precario. L'autore è malleabile, a seconda dei desideri del suo padrone, ed è questa la flessibilità tanto auspicata

Abbiamo vissuto per diversi anni, il mio compagno ed io, mantenendoci col  mio unico reddito. Se sento che la nostra situazione oggi è meno difficile, è solo perché il mio compagno oggi ha un lavoro pagato. Ma molto precario. Ecco di cosa ci si accontenta in queste situazioni: essere in grado di pagare l'affitto senza strapparsi i capelli per le bollette che seguono.
Tutto ciò a cui questa situazione porta è una vita di miseria, il vivere giorno per giorno e dove tutto è molto complicato: affittare un appartamento, scaldarsi, mangiare.
Non so nemmeno parlare dell'impatto reale che questo ha sulla produzione degli autori, spinti a trovare i soldi il più in fretta possibile  per il  10 del mese: Si mettono da parte quasi sempre le proprie mire artistiche per cercare del lavoro "alimentare". 
E di nuovo è troppo aspettarsi che i nostri datori di lavoro, che il nostro lavoro "così carino", possano sostenere e giustificare tutte le umiliazioni che ne conseguono? Lavori urgenti fatti in fretta durante la notte e pagato con mesi di ritardo (quando effettivamente è pagato) il disprezzo palese dei nostri clienti, (…un 'altra cosa brutta che non sono riuscito a tradurre ma che ha a che fare con le fatture dei liberi professionisti…)
Non abbiamo alcun tipo di paracadute. La vita di un artista-scrittore è paragonabile all'andare in bicicletta: se si smette di pedalare, si cade. E la caduta è fatale.

La cosa peggiore di tutto questo è che tu abbia contattato il SNE( sindacato nazionale Editori) per discutere le condizioni contrattuali degli autori. Immaginate di andare a dire a un dipendente Peugeot: "non ti preoccupare ci prendiamo cura di voi,  abbiamo discusso con il MEDEF (mouvent des Entrepises de France)
 Il cinismo o ignoranza per ciò che riguarda la situazione dei lavoratori-autori è illimitata: ogni giorno ci troviamo di fronte a questo genere di cose, e questo è intollerabile.

Sai, cara Aurélie, che gli autori presenti al così meraviglioso Festival di Angoulême impiegano il  loro orario di lavoro o di riposo per essere là così belli e carini? Lo sapevi che se continuano ad andarci in ogni caso, questo accade in gran parte perché si tratta di uno dei rari momenti in cui possono incontrarsi tra loro, visto che  non hanno i mezzi per spostarsi il resto anno?
Sei a conoscienza del fatto che gli autori cercano di costruire progetti in digitale lontani dagli editori tradizionali perché questi ultimi vedono in questo nuovo mezzo, solo un modo per arricchirsi un po 'di più sulle spalle degli autori?
Lo sapevi che il principale sindacato degli autori lo SNAC, ha giustamente interrotto le trattative con il Sindacato Nazionale Editori su questo tema molto delicato?

( Credo di capire che il problema del "numèrique", ovvero della conversione dei fumetti dal cartaceo al digitale, in questo momento è molto sentito dagli autori, che presagiscono l'intenzione da parte degli editori, di sottrarre loro parte dei diritti provenienti dallo sfruttamento di questo supporto, ancora non sufficientemente categorizzato)


Lo sai che  se gli autori sfoggiano un bel sorriso ad Angoulême è perché fuggono dai loro problemi giusto per il tempo di quel Festival?

Cara Aurélie, non affidarti al Festival per farti un idea della vita dell'autore, le paillettes sono accecanti. Il festival internazionale di Angouleme, è la più grande menzogna sulla situazione del fumetto, degli editori e degli autori.

La vita de Bohemien ha di carino solo il nome.

Tanxxx

Ecco. 
non mi soffermo su tutte quelle cose ultra-populiste-esterofile di cui potrei parlare (tipo che so, l'esistenza delle categorie, di un sindacato, di una retta obbligatoria per la pensione, di un ministro della cultura che si interessi del settore dell'Editoria e del fumetto, o del fatto che ci sia un reale confronto e dibattito tra le parti coinvolte, della discussione reale sulla categorizzazione in temini di legge del fumetto digitale ecc..).
non mi ci soffermo, che mi faccio del male.
meglio tornare a disegnare....