lunedì, novembre 19, 2012

Delirio mistico sul colore


Da piccolo avevo la fissazione delle scene dipinte della Passione di Cristo. Tutte le rappresentazioni di quell'uomo dapprima accolto a Gerusalemme come un eroe , un trascinatore infallibile  e poi tradito, vilipeso,  flagellato e appeso ad una croce di legno come un animale, mi hanno sempre preso in modo assurdo.
I colori delle palme, delle strade sassose, della cena illuminata da poche candele, della vergogna del Getsemani e poi di questa lenta discesa verso il disfacimento totale del corpo. Questa Epifania di sangue e di torture. I fiotti di sangue dal costato, il sudario imbrattato, i ladroni con le gambe spezzate.
Sono più o meno i primi ricordi a colori che ho delle cose che mi interessavano disegnare. 
Mi piacevano proprio, i colori di quelle scene.
Stranamente credo di aver avuto una sorta di ubiquità a livello di interessi disegnativi all'inizio. Da una parte c'erano l'incredibile Hulk e Superman, che mio fratello disegnava in modo fichissimo e che quindi io invidioso della sua bravura tentavo di imitare. Dall'altra questi vangeli di pregio che giravano per casa, che mi ricordavano alcune delle immagini che vedevo nelle chiese della mia città:  queste storie illustrate che per me non erano differenti dagli altri libri di fiabe che i miei mi mettevano in camera. 
La storia della Passione mi affascinava forse per un certo retrogusto macabro e scabroso che non trovavo nelle favolette. 
Io avevo questi piccoli cartoni telati che mi arrivavano regalati dal negozio dei miei zii, assieme a dei tubetti di acquerelli.
Mi sembrava ovvio dipingere su quelle piccole tele le scene della Passione, soprattutto quelle con Cristo sul Golgota, per poi restituirgliele.
Credo che vedendo questo piccoletto di otto/nove anni che a Natale, Pasqua e compleanni vari, arrivava sempre in casa loro con questi strazi umani dipinti, per dono (mettevo quasi sempre Gesù coi due ladroni, mi ero specializzato in questo), i miei zii avessero pensato di avere in famiglia un bambino disturbato. Forse avrebbero preferito gli portassi Hulk. 
A pensarci ora, probabilmente potevano pensare che i miei genitori mi maltrattassero, costringendomi ad una rigida e ossessiva educazione religiosa.  Niente di tutto questo. 
Alla fine mi interessavano di più le scene di un eroe religioso sconfitto e straziato, di quelle  degli altri supereroi americani vincenti. Credo che fosse per un attrazione verso la rappresentazione del fallimento e della caduta disastrosa. Unita ad una non trascurabile dose di Fantasy ( i miracoli, i raggi dello spirito Santo, le resurrezioni eccetera)
Pur facendo uno sforzo notevole per affermare il contrario, quella di Gesù rimane una delle figure sovrannaturali più umane in assoluto, soprattutto per la parte della fine della sua storia in carne ed ossa.  
E a pensarci, anche le rappresentazioni di tutti quelli che hanno tentato di imitarlo in questa sorta di eterno agonismo autodistruttivo in nome della fede, cioè le storie martiri (gli spin-off del vangelo) non sono da meno.
Da quasi adulto, in nome di questo fascino per il corpo sacro straziato, ho anche consegnato una tesi in Accademia su un argomento del genere. Una tesi che aveva per l'appunto il titolo di "Agonismo dell'abiezione": una specie di riflessione a tutto tondo sulle immagini del supplizio, sia quello religioso, che quello civile. 
Un titolo per cui i miei amici mi hanno preso per il culo per anni.
In ogni caso se devo pensare ai colori che mi hanno segnato, sono quelli lì. I colori delle immagini sacre e nella fattispecie quelle del martirio. Per dirla in modo diverso, le immagini della "sacralità del Martirio", di cui la Chiesa si è fatta forte nei secoli.
Perché per quanto io possa pensare male della chiesa e di tutto l'apparato religioso, credo che nessun disegnatore o autore possa prescindere dall'influenza che le storie e le immagini del vangelo abbiano avuto sulla propria arte. Alle immagini di Giotto, di Michelangelo, di Piero della Francesca, di Caravaggio e di tutti gli artisti che hanno messo soprattutto "uomini", nelle immagini sovrannaturali.

Penso a questo mentre metto i colori sulle pagine di Dylan riflettendo sul modo in cui sono arrivato qui. 
La storia che sto disegnando parla di una caduta disastrosa, (che io non voglio assolutamente paragonare a quella di Cristo, lo metto subito in chiaro).Parla della fine di una figura eroica. Parla tra le altre cose, di come tutto ciò che sta attorno al protagonista si ammali, deperisca e muoia.
Mentre concludo l'apparato scenico di queste pagine, mi addestro a pensare ai colori della caduta e della fine, ai colori di qualcosa di tragico. Penso che se esiste una necessità imprescindibile, nel momento in cui si ha a che fare con un personaggio archetipico come Dylan, sia quello di scavare nel profondo di ciò che si è per trovare le tracce di come dev'essere rappresentato. E io scavando ci trovo mio malgrado quello che ho appena scritto. 
Mi rendo conto  che tutto ciò che è archetipico, iconico, è per sua natura sacro, e penso di essere fottuto. Penso anche che devo consegnare le pagine di un fumetto per ragazzi e non certo un compendio sull'escatologia occidentale. 
Ma tutte queste sensazioni convergono e non ci posso fare nulla. Penso che la mano che dipingeva le crocefissioni sulla tela da regalare agli zii a  Pasqua è la stessa che sposta i pixel sul tizio inglese con la camicia rossa. E forse che sto andando completamente fuori di testa per colpa di questo mestiere.